a cura di Mariangela Tantone per Turismore

La diffusione del COVID -19 e l’emergenza sanitaria che ha toccato l’intero pianeta, oltre ad un tangibile senso di sconforto e alla paura per il futuro, ha mandato in crisi l’economia mondiale, mettendo in stand-by alcuni settori più ancora rispetto ad altri. L’industria del turismo, infatti, ha visto la propria domanda arrestarsi con la conseguente impossibilità, avvertita ancor più dopo i vari lock-down, di programmare e fare previsioni convincenti e plausibili.

Due ci sembrano i punti di partenza: da un lato la consapevolezza che il periodo che consentirà di uscire dal pericolo Covid – 19, probabilmente, non sarà breve e ci si dovrà adattare ad una sorta di convivenza (con tutte le misure protettive e di salvaguardia del caso), con conseguente ridimensionamento dei viaggi; dall’altro, a dispetto del senso di frustrazione e del pessimismo diffuso, la certezza che un atteggiamento negativo non potrà essere mantenuto a lungo, considerando anche la capacità del settore di resistere e reagire alle crisi, come già avvenuto in passato. Inoltre, da uno studio effettuato da  Voyage Pirates su 30.000 viaggiatori europei e pubblicato il 24 marzo 2020 su FTourim & Marketing, emerge che il Coronavirus ne condizionerà in modo limitato il comportamento futuro. Infatti, i risultati, che qui riportiamo fedelmente, sono abbastanza incoraggianti: il 74% dei turisti per il momento non ha cambiato i progetti di vacanza futura. L’86 % considera che si potrà viaggiare durante l’estate 2020, contro un 8% che ha un’opinione contraria. Solo il 6% degli intervistati ha deciso di non viaggiare tenendo conto della situazione. Il sondaggio indica anche che il 39% dei turisti sta aspettando l’evoluzione della situazione prima di decidere se organizzare un prossimo viaggio. Mentre la maggioranza, il 56%, considera di fare abitualmente le vacanze. Soltanto un 5 % prevede di non fare delle vacanze quest’anno.

Dinanzi a questo scenario, operatori privati, enti pubblici locali e nazionali, istituzioni  europee ed internazionali e professionisti del settore si stanno interrogando sul futuro del turismo, sulle molteplici possibilità di intervento e di progettazione dei servizi turistici, su un nuovo design delle destinazioni, su nuove modalità di fruizione e di viaggio.

Uno studio della scuola ESADE (EsadeEcPol Policy Insight #10 Maggio 2020) dal titolo “Connettere le zone verdi europee: una proposta per salvare il turismo”, a cura di Miquel Oliu-Barton e Bary Pradelski, avanza l’ipotesi di un green-zoning approach, che supera i confini politici e mette in connessione zone “covid free”. Molti Stati membri dell’Unione Europea hanno già, infatti, predisposto piani di “deconfinamento” per regione. Con la diminuzione dell’incidenza della pericolosità del virus, è stata, quindi, ipotizzata una strategia per “zone verdi” che questo studio propone di applicare a livello europeo, per salvare la stagione turistica estiva. In sintesi, si tratta di zonificare l’Europa, a partire dalla zonificazione di ciascuno stato, regione per regione. Da un punto di vista pratico, saranno utilizzati colori differenti da assegnare a ciascuna provincia/zona: rosso se il virus non è ancora sotto controllo, e verde se lo stesso è sotto controllo. A questi potrà essere aggiunto il colore giallo a caratterizzare le zone con bassi livelli di attività virale. Da un punto di vista operativo e programmatico, questi indicatori colorati, la cui affidabilità dovrà essere assoluta, accompagnata da misure sanitarie affidabili, e certificata alle autorità competenti, favoriranno la creazione di una “rete di zone verdi” in cui il turismo sarà, non solo ipotizzabile, ma programmato e consentito.

Secondo questo studio, tale strategia potrebbe adattarsi bene alle singole esigenze regionali e si ridurrebbe al minimo la diffusione del virus nei diversi territori. Ovviamente a condizione che vengano maggiormente monitorate le zone rosse e limitati i loro movimenti in entrata e uscita allo stretto necessario. Verrebbero così ridotte anche le perdite economiche, soprattutto se la strategia venisse applicata ad aree come Maiorca, in cui il turismo rappresenta il 45% dell’economia, soprattutto durante l’estate, così come accade nella maggior parte dei paesi dell’Europa meridionale.

Fonte: ESADE (EsadeEcPol Policy Insight #10 Maggio 2020), “Connettere le zone verdi europee: una proposta per salvare il turismo”, a cura di Miquel Oliu-Barton e Bary Pradelski.

Il rischio, paventato anche dalle Istituzioni italiane, è che si creino connessioni più forti e stabili tra i paesi con bassa incidenza del virus e che le zone col più alto numero di contagi vengano fortemente penalizzate, a maggior ragione estendendo la soluzione anche ai paesi fuori dall’area Schengen. Ciò accadrebbe se si disegnasse una zonizzazione in base ai confini politici. L’impasse potrebbe essere superato connettendo le zone “covid free”, a prescindere dai confini nazionali e riaprendo, così, la partita per molte destinazioni.

Sappiamo bene che non è possibile tornare ad una normalità senza tener conto delle modalità di diffusione del virus e delle gravi conseguenze che, a livello mondiale, hanno impattato sul sistema politico, ma ancor prima, su quello economico e sociale, con ricadute sul benessere psico-fisico dei cittadini/viaggiatori. Ripensare i luoghi e le destinazioni, l’organizzazione e il modo di comunicarle diventa fondamentale alla luce della prima assoluta priorità che resta la salute e la tutela dei cittadini.

L’Europa, il cui ruolo di coordinamento è stato messo fortemente in discussione in questi mesi, dovrebbe avere una funzione chiave. Se, partendo dalla zonificazione a livello nazionale, si passasse ad una che chiamiamo ultra – nazionale, le Istituzioni europee diventerebbero garanti soprattutto per due attività fondamentali: il controllo sulla delimitazione e creazione delle zone (rosse, verdi o gialle) e il monitoraggio sugli standard delle misure sanitarie e di protezione.

Per quanto riguarda l’Italia, così come altri Paesi, potrebbero essere individuate, in primis, zone verdi corrispondenti ai territori italiani con il più basso numero di contagio, che possano essere messe in contatto con altre zone verdi europee. Nonostante la reticenza di alcuni, non si tratterebbe di discriminare alcune aree e di privilegiarne altre. Si tratterebbe, prima di tutto, di sensibilizzare le aree marchiate dall’etichetta verde ad un’assunzione di responsabilità nei confronti della comunità, mantenendo alta la guardia e lo standard dei controlli e dei servizi offerti. Se le comunità sono interessate al rilancio del proprio turismo, saranno anche più ligie nell’applicare le norme e migliorare i controlli. Per questa ragione, l’ipotesi della creazione di corridoi europei non dovrebbe essere tracciata in base ai confini politici. Proprio per favorire l’inclusione di Stati come l’Italia e la Spagna, a forte vocazione turistica, che, pur con molte zone verdi, sarebbero compromesse e tagliate fuori da accordi bilaterali, di cui si teme la diffusione.

E a proposito delle nostre zone rosse? La migliore comunicazione che esse potrebbero attuare, in prima battuta, è quella della propria bellezza paziente. Quasi a voler dire al turista: “Io ti aspetto con fiducia. Tu, aspetta, a tua volta, di potermi rivedere e rivivere al meglio”. Perché, dunque, non investire risorse nella creazione di una campagna di comunicazione in tal senso? Una sorta di strategia promozionale dell’“attesa fiduciosa” e della “bellezza paziente” che attende per il bene dei suoi visitatori. Anche questo sarebbe un racconto di tutto rispetto, di un’esperienza, di una emergenza e di un desiderio di riscoperta.

La sfida è impegnativa su tutti i fronti, soprattutto quando si tratta di mettere in campo sforzi economici ma soprattutto di coordinamento, anche trans – nazionale. Se davvero la si vuole cogliere, sarà necessario, ad esempio, costituire una task force di specialisti al fine di creare una cabina di regia centralizzata a livello europeo e una serie di hub dislocati, come succursali, in ogni zona verde, a favorire il coordinamento e il dialogo. Altro tassello fondamentale resta, inevitabilmente, la tecnologia che colmerebbe molti gap a livello di comunicazione, promozione, story telling dei territori, racconto di una nuova forma di scambio tra aree europee, facilitazione nella gestione delle prenotazioni, degli spostamenti, dei controlli e del monitoraggio sanitario. Pensare ad un’app, ad esempio, di facile fruizione, potrebbe essere il modo più rapido per raggiungere i cittadini/viaggiatori, anche in considerazione della crescita esponenziale, registrata negli ultimi anni, dell’uso dei cellulari (sempre più smart e comodi), rispetto a quello di notebook, pc e tablet.

Tornano come un mantra, quindi, parole come responsabilità e organizzazione, strategia e programmazione, alla luce della consapevolezza dell’esistente e di tutto ciò che, sotto gli occhi dell’intero pianeta, lo ha causato. Che non sia davvero, questa, un’occasione per ripensare i confini, raccontarci in modo differente e riuscire a salvarci?

Lo studio può essere visionato interamente su: http://itemsweb.esade.edu/research/EsadeEcPol-Insight-Zone-Verdi-May2020.pdf

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